La nostra vita quotidiana è fatta di obiettivi da conseguire. Alcuni di questi sono indotti altri sono elaborazioni “autoctone frutto della nostra capacità di analisi.
La lotta per gli obiettivi crea uomini determinati; uomini che “sanno il fatto suo”.
Uomini forti che, in quanto forti, raccolgono il consenso altrui.
Uomini forti che, in quanto forti, vengono acclamati come leader.
Ci siamo abituati alla guerra, la consideriamo un’arte; guerra totale che contro tutto quello che tende ad uscire dagli argini. Esercitiamo un tamponamento prima culturale e poi “militare”.
Continuiamo a preferire il colonialismo al conflitto. Il conflitto come quell’esercizio nobile della dialettica, del confronto, talvolta aspro, che consente la fusione di ricchezze culturali e ideali.
Ieri era l’11 Settembre. La data che ricorda due violenze:
11 Settembre 1973, colpo di stato in Cile
11 Settembre 2003, l’attentato alle torri gemelle.
Ogni volta che facciamo ricorso alla violenza, intesa come la volontà di soverchiare una cultura, un punto di vista un’idea scateniamo una reazione uguale e contraria. Agiamo imperterriti, senza alzare la testa come intontiti dalla spirale di violenza.
Ne parlavo ieri sera con i miei figli riflettendo su alcuni episodi della vita quotidiana.
Talvolta è difficile uscire dalla spirale del risentimento, se pensi di essere nel giusto.