Acustica perfetta, recensione. Dalla morale alla com-passione

 

Ho letto L’acustica perfetta (Scrittori italiani e stranieri)
L’ho letto per caso. Era sul comodino, Cristina aveva appena finito di leggerlo. Non lo avrei comprato.

Invece sono rimasto favorevolmente impressionato. Testo ben scritto, storia coinvolgente. Ne consiglio la lettura, attenta. Vi racconto i pensieri che mi ha scatenato.

E’ la storia di un uomo che, mentre cammina, quasi inconsapevolmente ritrova se stesso.

Ad una prima impressione  sembra una delle tante storie su come ritrovare se stessi  e come la consapevolezza di sé sia il primo passo per arrivare alla realizzazione di sé. A me è sembrato ci fosse altro.

La storia

Il testo prende le mosse da un abbandono. Pochi giorni prima di Natale Sara abbandona Arno, il protagonista maschile del libro, con poche inspiegabili righe di commiato.

Arno lotta in mezzo al mare della crisi da abbandono; mentre naviga con il cuore in tempesta ritrova e  recupera le ragioni di senso della propria esistenza. Questa è la fine. Cambiando il punto di osservazione, volgendo lo sguardo al cammino piuttosto che alla meta si svelano altri spunti.  Arno è arrabbiato ma è un buono e nasconde il suo risentimento. Lo nasconde ma c’è.

E’ convinto di stare nel giusto: il lettore maschio legge e moralmente approva. A tratti ho quasi avuto l’impressione che l’autrice volesse far cadere nel tranello il lettore uomo in questo “gioco” del buono e del cattivo.

L’abbandono induce approvazione morale per Arno, disapprovazione per il gesto folle di Sara.

Su buoni e cattivi: digressione

La morale segna le regole che gli uomini si danno nei confini dei propri spazi sociali. Una famiglia, un’associazione, un’organizzazione economica e/o politica sono identificabili come “spazi sociali”. Gli uomini che si trovano a muoversi nell’ambito di questi spazi tendono a condividere una serie di regole di comportamento.

Le regole non sono in assoluto buone o cattive.

E’ ritenuto buono ciò che un gruppo sociale, un’organizzazione hanno condiviso. I “cattivi” sono coloro che pur avendo contribuito alla definizione delle regole le trasgrediscono senza mettere in discussione le vecchie regole. In altre parole: fino a che non si ridiscutono nuove regole valgono le vecchie, pena la sanzione del giudizio morale.

A chi tocca emettere il giudizio morale?

Ai “buoni” che hanno rispettato le regole.

Ai “buoni”, colpiti e danneggiati dal mancato rispetto delle regole dei componenti del gruppo e/o comunità.

 Risentimento, deriva emotiva della morale

Chi subisce la trasgressione delle regole senza “giusta causa” discussa e analizzata si sente ingiustamente colpito. Pone la domanda: “perché non me l’hai detto che le nostre regole non andavano più bene”…”allora sei “cattivo”. Vive il risentimento di chi ha subìto un’ingiustizia.

Quante volte non capiamo il motivo!

Quante volte giudichiamo moralmente scorretto il comportamento degli “inquilini” che abitano il nostro “spazio sociale”: le persone che amiamo, quelle che stimiamo, i nostri colleghi di lavoro, i membri dell’associazione a cui apparteniamo e/o più in grande della società nella quale viviamo.

In questa liberatoria espressione del nostro risentimento manchiamo di rilevare un fenomeno:

  • chi sta male non alza la mano per parlare, chiude porte e finestre per paura di essere colpito dalle intemperie
  • chi teme di non essere all’altezza del compito che il gruppo sociale gli ha assegnato dissimula sicurezza e nasconde le proprie difficoltà e, quando può, cerca “irregolari scorciatoie”
  • chi vive un disagio fa spesso fatica ad osservare le regole della morale: il rispetto delle regole è pane per i “forti”.

L’uomo “buono” non trova ragione al comportamento di chi è uscito dalle regole senza preavviso, fa fatica a comprenderne le ragioni.

Perché?

Non ha indossato i panni dell’altro, non prova com-passione secondo il significato classico di “soffrire con”, “provare emozioni con”.

Arno e Sara

La Bignardi sembra voglia far camminare Arno oltre la morale.

Arno il “buono” mentre giudica la “cattiva” Sara aumenta la pesantezza del distacco ed allontana la speranza di comprendere le ragioni dell’abbandono. Gli aspetti morali che segnano il confine tra il giusto e lo sbagliato sembrano non avere buon effetto per costruire relazioni di lungo periodo.

Arno non capisce: è un “buono”, crede di amare ma non capisce. Non capisce perché non si mette nella condizione di com-passione, non sta nei panni dell’altro.

Durante il viaggio alla ricerca di Sara entra in empatia con lei, scopre le sue fragilità, guarda il mondo esterno con i suoi occhi. Sentire le emozioni dell’altro aiuta Arno a capire e a riaprire con Sara una relazione profonda.

Non dichiarerò di quale tipo di relazione profonda si tratti per non rilevare il finale a chi vorrà leggere il libro dopo aver letto queste mie scomposte riflessioni.

 Com-passione dopo l’etica prima della pietas

Queste parole non devono far pensare ad uno “sdoganamento” verso coloro che fanno del mancato rispetto delle regole condotta di vita.

E nemmeno intendevo fare un appello all’amore cosmico. Forse  aspiriamo tutti alla condizione dell’uomo “buono” spinto dalla “pietas”, dall’amore e dal rispetto per il prossimo.

Ma tra pietà e compassione vi è una differenza. Una differenza tra la condizione dell’uomo “buono” e quella dell’uomo che cammina verso il “perfezionamento”. Quell’uomo che, per comprendere le ragioni dell’altro, guarda la realtà con gli stessi occhi dell’altro, veste gli stessi panni. E mentre cammina comprende sé stesso.

Piuttosto che ad un “uomo perfetto” pensavo ad un uomo in ricerca, in movimento verso il continuo perfezionamento.

Mi sono trovato qualche volta nella condizione di chi viene giudicato “cattivo”. Altre volte in quella del “buono” che ha subìto le ingiustizie di chi non ha rispettato le regole. Sia nel primo che nel secondo caso ho fatto fatica a comprendere chi fossi io e ho fatto fatica a comprendere chi fosse l’altro.

La com-passione di Arno, il suo sforzo per creare le condizioni della comprensione di sé e dell’altro, sembrano condizioni per una vita felice.

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tanti piccoli flebili suoni cantano un brusio di fondo accompagna costantemente  le ore della nostra giornata scrivo sul mio iPhone direttamente nella

Per fare tutto ci vuole un fiore

Per fare un tavolo ci vuole il legno, Per fare il legno ci vuole l’albero, Per fare l’albero ci vuole il seme,

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