Leggo l’editoriale di Marco Revelli sul Manifesto. Scorro l’articolo, noto una “narrazione” un pò semplice per il suo stile . Lo conosco come un pensatore raffinato mai banale. Non dice cose sbagliate, ma nel fluire dei periodi sembra non volersi avventurare in percorsi analitici. Verso la fine se ne comprende il motivo.
Ripartire da zero.
Ripartire da ciò che è giusto e ciò che non è giusto.
Ripartire dalla “presunzione” che i valori universalistici non sono opinioni. Non è un opinione il rispetto del principio di eguaglianza e pari dignità. “E’ questa improvvisa crudeltà dell’essere, nuda, senza ornamenti ideologici, senza argomentazioni né giustificazioni, ciò che spaventa”.
Per un pezzo di storia, pezzi di società, hanno convinto altri pezzi di società che per nessuna ragione possono essere violati i valori universali in nome di qualsivoglia ragion pratica.
Ripartire dalla costruzione di quella coscienza collettiva, smarrita in questa specie di analfabetismo di ritorno.
Non è mai troppo tardi. Difficile compito per chi arriva dopo il maestro Manzi, che si trovava a dissodare terra vergine ancorchè “matura”. La nostra terra, morta, tenuta in vita solo da elementi di sintesi chimica.
Abbiamo bisogno di un percorso di “dinsintossicazione” perchè su un nuovo terreno di coltura si possa costuire una nuova cultura