Uno stralcio di un articolo molto interessante del mio amico Dimitri apparso su Cosmpolis un pò di tempo fa, Un argomento che rappresenta una delle riflessioni “basiche” per la costruzione di una nuova identità culturale.
Per chi ama le versioni integrali …
Per chi si accontenta del taglio… spero che Dimitri non si arrabbi 🙂
Aspetti morali, politici e cognitivi del riscaldamento globale
Dimitri D’Andrea
Il riscaldamento globale è un mutamento antropogenico del clima che consiste nell’innalzamento della temperatura media terrestre. Il fenomeno è dovuto ad un aumento della concentrazione in atmosfera di alcuni dei gas – essenzialmente anidride carbonica, metano, protossido di azoto e gas fluorurati – che consentono al sistema-terra di trattenere una parte del calore che il nostro pianeta riceve dal sole (effetto-serra). A questo incremento della temperatura sono collegate alcune trasformazioni dell’ambiente in grado di danneggiare pesantemente la salute e le attività dell’uomo: dall’innalzamento del livello medio del mare per l’assottigliamento delle calotte polari all’incremento degli eventi atmosferici estremi, dalla polarizzazione del clima nelle fasce temperate alla perdita di biodiversità, dalla diffusione di agenti patogeni e malattie endemiche alla desertificazione di intere regioni. Siamo di fronte a mutamenti climatici che minacciano seriamente gli interessi e la salute dell’uomo e che in prospettiva potrebbero cancellare le risorse essenziali alla vita umana sul pianeta….
Malgrado il carattere non imminente delle sue conseguenze estreme, il riscaldamento globale presenta alcune caratteristiche che impongono una pre-occupazione presente.
In primo luogo, un andamento non lineare. La consistenza dei danni per l’uomo e per le sue attività dipenderà in gran parte dall’entità del riscaldamento e dalla sua rapidità. Più veloce è l’andamento del fenomeno, maggiori saranno i danni. Inoltre, il modo in cui il riscaldamento globale progredisce può essere profondamente accelerato dal potenziale effetto-dòmino, tipico dei sistemi complessi. Il surriscaldamento dell’atmosfera può comportare, cioè, l’alterazione di processi essenziali all’equilibrio dell’ecosfera che possono a loro volta determinare un’accelerazione del riscaldamento o una esasperazione dei suoi effetti. In termini generali, dunque, la nostra conoscenza del fenomeno associa la certezza dell’entità del danno – nel lungo periodo e in assenza di efficaci contromisure – con il carattere incerto, relativamente indeterminato e impreciso delle previsioni relative al “come”, al “chi” e al “quando” verrà danneggiato nel breve-medio periodo.
Il riscaldamento globale è, in secondo luogo, un fenomeno che possiede una forte inerzialità. Le conseguenze sia dei comportamenti che determinano il cambiamento climatico, sia delle eventuali contromisure che saremo in grado di adottare si faranno sentire fra qualche decennio. Le nostre scelte in materia di emissioni di gas serra influenzeranno significativamente lo stato della nostra atmosfera alla fine di questo secolo e nel successivo.
L’inerzialità del fenomeno determina una divaricazione costitutiva fra chi agisce e chi sperimenta le conseguenze, fra chi danneggia e chi è danneggiato, fra chi paga i costi e chi ne trae eventualmente beneficio.
Ciò che le generazioni presenti faranno nei prossimi decenni produrrà scarsissimi benefici per loro, ma avrà grandissima influenza su ciò che accadrà fra cinquanta anni e soprattutto sulla condizione del pianeta alla fine di questo secolo e nel prossimo . Mentre i costi delle politiche volte a limitare il riscaldamento globale dovranno essere pagati dalle generazioni presenti, i benefici in termini di danni evitati saranno esclusivamente per le generazioni future…
…si tratta di un fenomeno di cui conosciamo con certezza la nocività, ma di cui non siamo in grado di stabilire il punto di non ritorno. Non siamo in grado, cioè, di determinare con precisione il momento in cui il fenomeno diverrà incontrollabile e irreversibile, in cui non sarà più razionale continuare ad agire “come al solito” ed occorrerà prendere le necessarie contromisure. ..
Siamo, dunque, di fronte ad un fenomeno contro il quale è necessario già adesso prendere le opportune contromisure, ma che non produce nel presente effetti tali da giustificare in termini di razionalità egoistica l’effettiva adozione di misure di limitazione delle emissioni di gas serra.
La motivazione su cui può riposare la scelta di combattere il riscaldamento globale non può essere la paura delle conseguenze, il calcolo razionale dei costi e dei benefici che le differenti strategie comportano per un medesimo soggetto. Il carattere temporalmente differito degli effetti dannosi del consumo presente, la non coincidenza temporale fra chi è responsabile (causa) dell’alterazione del clima e chi ne sperimenta i danni non consente l’attivazione di questo dispositivo, mette fuori gioco qualsiasi strategia basata sull’ipotesi di un soggetto egoista-razionale come quello ipotizzato dalla tradizione del realismo moderno a partire da Hobbes….
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Nelle attuali condizioni tecnologiche, combattere il riscaldamento globale significa, dunque, riduzione dei consumi e della mobilità, significa in una parola superamento di quell’autentico imperativo economico che è la crescita. Nessun governo di nessun paese industrializzato – occidentale e non – sembra in grado di mettere in discussione questo imperativo. L’aumento del Pil e la crescita economica sono anche in Europa il primo obiettivo sia dell’Unione, sia dei singoli Stati membri: riduzione dei consumi significa riduzione della produzione e conseguente riduzione dell’occupazione…
La soggettività occidentale moderna non possiede, cioè, più le risorse di senso per dar vita ad uno sforzo i cui costi siano elevati e le cui chances di successo siano minime se non addirittura inesistenti.
Consistenza dei costi e improbabilità dell’efficacia finiscono per affossare qualsiasi appello alla responsabilità. La mancanza di un piano sovraindividuale – la fede nel progresso, nella provvidenza, in un senso oggettivo del mondo o della storia – che garantisca la non inutilità degli sforzi individuali rende impraticabili comportamenti che non siano sostenuti da una credenza di efficacia…
Diviene generalizzatamente impraticabile un’etica dell’intenzione, e al suo posto s’impone un’etica della responsabilità, una valutazione delle conseguenze che si nutre del possibile/plausibile, e che si arresta di fronte ad un imperativo su cui grava l’alone dell’inefficacia….Quello che viene meno è la capacità generalizzata di agire moralmente in un contesto in cui l’adempimento di un dovere si associa alla sua prevedibile inefficacia e a rinunce individuali e collettive percepite come inutili. L’impossibilità di rinvenire argomenti che ci diano la fondata speranza che il nostro sforzo e le nostre rinunce contribuiscano a risolvere il problema rende onerosa la nostra esperienza etica, e favorisce il suo abbandono associato ad una rimozione del problema.
La fine delle grandi narrazioni ha indebolito la soggettività, lasciandola inerme di fronte allo strapotere del mondo: ha indebolito la capacità degli individui di opporsi da un punto di vista etico al funzionamento del mondo.
Costi e rinunce – in termini di benessere, felicità e libertà – appaiono difficilmente accettabili in un contesto in cui è venuta meno qualsiasi garanzia della loro efficacia.
La conseguenza di questa difficoltà è una generalizzata tendenza all’adattamento al mondo, all’accettazione della logica delle cose in funzione della massimizzazione delle chances di benessere e di felicità.
È l’assolutizzazione della vita e delle sue esigenze come criterio unico di valutazione delle scelte politiche: il trionfo di quella che è stata definita biopolitica….
Capitalismo e tecnica hanno imposto la loro logica e il loro dinamismo anche a popolazioni che avevano e continuano ad avere un’immagine del mondo profondamente diversa da quella tipicamente occidentale e in molti casi dissonante da quella implicita nel capitalismo e nell’universo tecnico-scientifico. Laddove questa perdurante diversità delle forme di soggettività non ha costituito un elemento favorevole all’adozione del cosmo tecnico-economico moderno, la persistenza di immagini del mondo non occidentali non sembra in grado di ostacolare o di frenare la logica quantitativo-incrementale propria dell’economia e della tecnica.
La modernità fuori dell’Occidente non sembra, in conclusione, poter fare affidamento su risorse di senso più consistenti di quelle occidentali per reintrodurre una cultura del limite.