Strano il jazz.
Scorro attraverso le cartelle del mio pc alla ricerca di un’immagine. Mi imbatto in una foto scattata qualche settimana fa al Jazz club a Firenze. Un gruppo simpatico che suonava Jazz degli anni 50. Ero lì con i mie figli, età 14 anni compiuti. Ogni tanto ascoltano qualche pezzo e hanno deciso di accettare il rischio della serata.
Strano il pubblico quello del jazz, senza età. I miei figli forse erano i più giovani ma per poco. Uno dal pubblico si alza per salutare il sassofonista: età oltre 65. Si siede, batte il tempo con il tacco.
La serata non è stata spumeggiante, forse perché il nostro umore era poco spumeggiante.
Sono belli questi luoghi dove si incontrano generazioni. Una generazione incontra l’altra senza pretese pedagogiche o senza pretese di cambiarne la cultura.
Per poco, il tempo si allunga
2 risposte
Buffo, anche il tuo modo di scrivere, in questo pezzo, mi sembra jazz, mi piace, ha un bel suono, belle note corpose che gocciolano sensazione dalla penombra di un tavolo…
E bravo Ale, fa sempre bene leggerti.
Jazz, le note circolano in modo libero, si affacciano in modo chiaro all’inizio ed alla fine come in racconto. Nel mezzo spesso l’incertezza. La bellezza della ricerca. L’attesa.