Sottopongo all’attenzione dei miei tre lettori un pezzo tratto dal libretto di Erri De Luca: “Penultime notizie circa Ieshu/Gesù”. Interessante riflessione su Paradiso della Terra. Una riflessione per tutti coloro che aspirano ad uno stato di “beatitudine” senza trovarlo. Per tutti coloro che gettano semi tutte le volte che incontrano terra.
Sfrattandolo dal cielo.
La cantica di minore gradimento per i lettori è il Paradiso.
I Santi annoiano.
“Mi sentirei di girare in fil sull’inferno dantesco, forse sul Purgatorio, certamente non sul Paradiso”: il regista Alessandro Blasetti conferma così che la perfezione non si presta alla narrativa ed all’immaginazione.
Se si fa uno studio sull’impatto ambientale del Paradiso si finisce per istallarlo in cielo. In terra ingombra, in mare escluderebbe quelli che preferiscono la montagna.
La ricompensa eterna consola, ma sazia presto. Troppo miele provoca rigurgito. Il Paradiso, maiuscolo e prevedibile, è un ergastolo di beatitudini.
E’ tempo di costringerlo a migrare., di riportarlo indietro alla sua origine. In antico ebraico è pardès, un terreno di alberi da frutto, ben racchiuso tra muri. Non è in cielo, luogo che non ha recinti per nuvole, non è in mare che non ha confini per le onde. Il pardès è in terra.
In ebraico dispone di plurale, ce ne sono diversi. Kohèlet scrive: “Ho fatto per me giardini e pardèsim”(2,5) . Li ha fatti lui per sé, si possono produrre anche da solitari.
L’amante del canto dei canti dice della sua amata che è pardès di melagrane (4,13). E’ piantato ad alberi, mai è un deserto. Non è contemplazione, , è opera di lavoro, irrigazione, potature, innesti. Non è beatitudine, è sudore.
Non è pace, ma lotta contro le avversità.
Devo un esempio: Vilna, Lituania, settembre 1943, ghetto ebraico nei giorni della soluzione finale. Un gruzzolo di giovani ebrei resiste con qualche arma racimolata in giro. Mancano i proiettili. C’è nel ghetto una casa editrice con toppografia., la “Rom”, rinomata per la stampa dei grandiosi volumi del Tàlmud. I giovani vanno di notte a rubare le barre di piombo delle stamperie per fonderle e produrre munizioni. Le sante lettere ebraiche diventano proiettili. Scrive lì in quel momento il giovane poeta Abraham Sutzkever:
L’ebraico valore serbato in parole deve irrompere ora nel mondo con uno scoppio.
Nel ghetto di Vilna i superstiti di una cancellazione generale fabbricavano intorno a loro uno dei pardesìm possibili, prima di essere inceneriti nel campo di annientamento di Sobibor. Il pàrdes è tempo salvato dall’inferno. Furono vinti, è certo, il pàrdes non accampa vittorie. E’ cerchio di fuoco intorno, è profezia di Amos: “Come salverà il pastore da bocca del leone due zampe o un pezzo di orecchio, così saranno salvati figli d’Israele”(3,12). Pardès è rimasuglio.
Pure il passaggio di migranti verso le nostre coste è pardès. E’ il loro viaggio escluso l’arrivo. Quello, qualunque l’esito, sia naufragio che scampo, è uscita dal recinto.
Concludo che il pardès si trova al suolo, ha durata assegnata poi si dissolve, si riforma altrove. E’ stato di eccezione, Il tempo al suo interno è sigillato nell’ambra, formula elementare dell’eternità. L’umanità si regge sul pardès.
E non è d’oro
perché l’oro è niente
e senza sole nun sarria lucente.
(Salvatore Di Giacomo