Segue da…Analisi, giudizio, percezione, conoscenza.

 integrazione

Segue… focalizziamoci pure sul problema della percezione.
Si ha voglia a dire:  “ guarda che il problema non esiste…stai tranquillo” . Nonostante questo i nostri concittadini sembra continuino a sentirsi a disagio.
Ho fatto riferimento a come la pratica del pregiudizio alimenti  falsa percezione che diventa percezione collettiva attraverso l’uso dei mass media.

Ma al di là di questo, perché m sento a disagio?

  • Entro in contatto con una cultura che non conosco
  • Entro in contatto con una religione che non conosco
  • Entro in contatto con persone in difficoltà che spesso vivono di espedienti e alimentano la microcriminalità
  •  …

Tutto questo altera gli equilibri delle comunità costituite.
Non mi voglio lanciare in riflessione sugli effetti delle politiche neoliberiste, su nord-sud del mondo sulle vicende dei migranti…
E  se facessimo come in Germania che ha un ministero che si occupa dell’integrazione culturale ? Oppure come in Svezia dove la scuola pubblica (mi ha raccontato un amico migrante italiano) garantisce un’insegnante italiano perché i bimbi non perdano  la propria cultura e tradizione linguistica?  E’ lo stato che se ne preoccupa  oltre alla famiglia o alla specifica comunità residente. Si sa che ogni comunità tende a riprodurre dinamiche difensive e di chiusura quando migra in altri paesi. Così è accaduto anche per gli italiano nei percorsi di migrazione.
In questo modo la stato che ti accoglie fa, in parte,  anche sua,  la cultura del migrante, la rende patrimonio della collettività., scongiurando il rischio di pericolose ghettizzazioni.

Ecco che ad un’analisi appena appena un po’ più approfondita ciò che emerge. I nodi dei valori vengono al pettine.
Identità politiche diverse sviluppano soluzione diverse allo stesso problema.
Questa è un grande spartiacque valoriale su cui si sono sentite voci troppo flebili.

Ed ecco che anche riparare un cesso diventa una questione politica.
Qui non si tratta solo di risolvere problemi ma decidere che vita vogliamo

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Silenzio delle idee lunghe

tanti piccoli flebili suoni cantano un brusio di fondo accompagna costantemente  le ore della nostra giornata scrivo sul mio iPhone direttamente nella

Per fare tutto ci vuole un fiore

Per fare un tavolo ci vuole il legno, Per fare il legno ci vuole l’albero, Per fare l’albero ci vuole il seme,

2 risposte

  1. sarebbe bello davvero che invece di inseguire la “percezione” di insicurezza si ripartisse da elementi di analisi pacati e realistici come questi per modificarla, questa percezione.
    Che poi modificare in meglio lo stato di cose dovrebbe essere appunto la “vocazione” della sinistra…
    Aggiungerei un altro paio di punti su cui riflettere: aumentano le difficoltà di vivere, comprendere il proprio contesto, conservare ‘integra’ la propria percezione del sé (e trovare un lavoro non precario, arrivare alla fine del mese, etc etc) e il primo a scattare è il meccanismo per cui una comunità a questo punto cerca un capro espiatorio: una ‘pietra dello scandalo’ che possa catalizzare rabbia frustrazione e la difficoltà a capire, per poi sacrificarlo (fisicamente o virtualmente) come soddisfacente catarsi. Se poi si aggiungono media e precise strategie politiche che queste puls :_ioni incanalano e alimentano… il gioco è fatto.
    Ci sarebbe molto altro da dire, hai lanciato una bella pietra nello stagno 🙂

  2. Le cose stanno proprio come tu dici. Hai ragione quando tu ti riferisci al fatto che il precario “vaga” alla ricerca di capri espiatori.
    La cosa certa è che siamo di fronte ad fenomeni epocali che stravolgono le categorie interpretative tradizionali della sinistra.
    Le categorie del conflitto, quella tra capitale e lavoro con cui ancora parte della sinistra si confronta stanno sfumando e se ne stanno affiancando altre.
    Quella del conflitto tra culture, tra migranti disperati e “occidentali uomini flessibili”.
    Insoomna un bel casino!!
    🙂

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