Società: la 2° definizione del vocabolario Garzanti: gruppo più o meno ampio di uomini uniti da tradizioni, convenzioni, usi e costumi comuni, considerati in rapporto a un territorio o a un’epoca: la società medievale; la società americana; la società industriale, dei consumi
Definire limiti, di tempo e di spazio, significa contribuire a creare gruppi sociali. Ogni tempo segna una società: la società medievale come dice il nostro vocabolario ecc. Potremo dire che ogni fase storica addensa cultura, ed in questo “addensare” crea caratteri, identità sociali.
Identità segnate dal tempo ma anche dallo separazione spaziale.Ogni città stato, ogni comune sviluppa un proprio piccolo ecosistema sociale. Sparta e Atene, vicine ma segnate da confine; territori separati. Sparta ed Atene separate dal punto di vista culturale. Putruppo anche nei nostri giorni vi sono molte “vicinanze” segnate da muri e da guerre!
Per sintetizzare potremo dire che la “separazione” spazio/temporale crea identità sociali. La storia dell’uomo è una storia di separazioni. La vita, come nella cellula avviene da una separazione. Vita e società negli stati (condizioni) primordiali, per crescere sembra abbiano bisogno di separazione.
Per generare organismi complessi occorre invece unione. Unioni di corpi e di cellule generano una soggettività complessa come l’uomo. Unioni di uomini creano gruppi, società complesse. Quindi lo stato (condizione) della separazione crea identità, da la “potenza” necessaria per nuove unioni generatrici di nuove identità.
In questo tempo dell’alternanza tra separazione e unioni sta il ritmo della vita. Tuttavia, l’uomo, da millenni, ha superato lo stadio della vita primordiale, “unicellulare”. L’uomo vive, cresce felice in relazione. L’uomo non vive felice se non risponde al bisogno di relazione.
Ed il bisogno di relazione confligge con la “naturale” tendenza alla separazione.
E la separazione diventa generatrice di potenza identitaria
E la potenza identitaria capace di nuova unità e forza relazionale.
In questo equilibrio tra separazione e relazione si gioca la partita della società degli uomini. La partita della nostra felicità.
Però, l’uomo dovrebbe ricordarsi di aver superato lo stadio dell’organismo unicellurare che cresce per separazione!
5 risposte
sì infatti, la separazione è importante, ma quando si deve. Al momento giusto. Pensa alal separazione improvvisa o prima del tempo della madre dal bambino, o dell’apprendista dall’artigiano. C’è una crescita, certo, ma solo se è al tempo giusto. Pù che nei modi, nel tempo.
Poi, dopo, c’è la riunione. L’unione fa la forza, senza dubbio, e le società si sviluppano e crescono per questo.
Più che altro credo che la differenziazione delle attività sviluppi le società. La specializzazione ne lavoro. Questo credo che sia il nucleo della società, l’unione che fa la forza, e la differenziazione dei lavori.
Così tutti abbiamo bisogno degli altri e siamo un poco interdipendenti.
Ma questi sono solo pensieri a caso, pensieri pigri di un sabato pomeriggio senza alcuna voglia di lavorare ma solo di stare in società, appunto.
La separazione permette di crescere indipendenti e di accumulare un propria esperienza, competenza, sulla base delle proprie attitudini naturali, affinare, sviluppare esaltare le proprie capacità quelle che ci si porta in dote. La forza sta nell’unione dei singoli, nella sinergia, nella distribuzione e nella mescolanza delle proprie capacità, esperienze, consocenze.
Insomma ciscuno metta sul tavolo i propri frutti, piccoli o grandi che siano sono sempre importanti quando consapevolmente e generosamente donati e prenda ciò che gli serve per riempire i propri buchi, per il bene proprio ma anche per quello comune. Non c’è felicità comune senza la felicità personale e viceversa.
Siamo legati da sistemi delicati, dagli stessi equilibri che regolano l’universo le stelle e tutte le cose.
Mi capita di avere la visione di un mondo frattalico, dove il grande informa il piccolo di sè in una infinita trasmissione che si allunga e si allarga e che comprende un Tutto che a sua volta ci comprende.
Ciò che rende difficile questo, specie in questa epoca nostra è la fame di potere, l’egoismo del singolo che attinge dal tavolo e se ne va, passando sopra le nostre stanze aperte con le scarpe sporche.
Mio padre era figlio di contadini, vevevano nei cortili, i figli crescevano nelle case di tutti, quando moriva una mucca si facevano le collette per permettere alla famiglia di riacquistarla.
Erano altri tempi e c’erano altri principi che prescindevano dalla politica, dalle leggi dalle convenzioni ma nascevano da quel clima strano che si chiama Solidarietà.
C’era cuore piu’ di testa, c’era fiducia e c’era bellezza.
Non è un elogio di quei tempi duri e difficili, soltanto una riflessione che un certo tipo di progresso trascina via valori come uno tsunami.
Il punto è Celeste che chi è legato alla terra ha altri valori, altri standard, e non so perché ma in tutte le culture è così.
Però per esempio trattava gli animali da bestie da sfruttare e basta. Li maltrattava parecchio e li uccideva quando non erano più utili.
E anche questo è un valore, non sentirsi sopra di loro ma rispettarli e difenderli, anche quando li usiamo per lavorare. Amarli.
Anche la cultura contadina ha i suoi difetti, non c’è cultura che non ne abbia.
Orientalia
Mi spiace che tu abbia questa idea della cultura contadina…
Ho visto mio padre e mio nonno, ma anche amici e conoscenti anziani, altre generazioni, prendersi cura di leprotti feriti, curare ali di uccelli … parlare delle vacche del loro passato come persone, membri della famiglia.
Gli animali venivano (anche) sfruttati, è vero. Come adesso, credo. Forse anche maltrattati non discuto su questo. E’ possibile che sia accaduto. I tempi erano quelli che erano. Il mio non era un elogio alla cultura contadina: sono figlia di questi tempi, lavoro e vivo con per e grazie alla tecnologia. Non sono legata alla terra, riconosco la perdita di valori importanti che sono legati ad alcune culture tanto quanto riconosco l’importanza della crescita e del progresso.
Ma parlare di valori sono discorsi troppo complessi per un blog che ha limiti non certo di qualità ma di spazio.
E’ luogo comune dire che si stava meglio quando si stava peggio e cerchiamo di stare lontani dai luoghi comuni anche se è una realtà oggi essere uccisi per un nonnulla nato magari sul diritto di precendeza ad un incrocio stradale. Luogo comune anche questo…Forse.. Ma apriamo un giornale un giorno qualsiasi … e facciamoci qualche domanda.
Celeste , Enrica ,
le società mutano, mutano le categorie di valori, i comportamenti e le occasioni di felicità.
Spesso.. “si stava meglio”.. è legato ad un racconto, ad un ricordo ad un’emozione.
Mi sforzo per pensare che abbiamo sempre un occasione per vivere la nostra felicità.
Anche nel nostri tempi e nei nostri spazi senza “senso”.
Grazie!