5 regole per la strategia d’impresa

Quasi ogni giorno mi capita di dialogare con imprese dove regna sovrana la sfiducia. Ciò che fino ad ieri sembrava funzionare oggi sembra inadeguato. Tuttavia l’ansia del futuro, invece che spingere al cambiamento, blocca e  fa  ripetere schemi e paradigmi del passato.

Come fare per valorizzare le energie sane, le competenze, le tradizioni artigianali e manifatturiere ?

Se il mondo è cambiato dobbiamo buttare via insieme all’acqua sporca anche il bambino ?

Quale’è il nostro bambino?  Le competenze della nostra tradizione artigianale e manifatturiera! Queste sono gli asset che hanno necessità di essere valorizzati attraverso l’adozione di nuovi modelli di Business.

E’ cambiato il modo con cui imprese parlano con i propri clienti, nuovi modelli di consumo e di produzione si sono affermati; dovremo ripensare al significato di fare impresa ripartendo dai valori e dalla strategia.

Premessa: focalizzare le energie

Foto di Free-Photos da Pixabay

Rammento  un episodio di qualche anno fa. Durante una riunione di un’ associazione di categoria, l’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, in risposta ad un  intervento che rilevava la differenza di imposizione fiscale tra un’azienda  con sede a Imola e una sua gemella con sede a Monaco, ricordava che il  nostro  bilancio potrebbe anche consentire politiche di investimenti ,se non fossimo gravati dai circa  90 miliardi di interessi sul debito pubblico, da pagare ogni anno.

Ebbene,  per uscire dal loop depressivo che accompagna  i dibattiti su crescita e sviluppo vorrei tentare  di osservare  il “fenomeno impresa”, al di fuori delle coppia problematica innovazione&finanza, che affolla i dibattiti dei nostri convegni. Per crescere dobbiamo innovare, ma siccome non abbiamo soldi per sostenere gli investimenti, non possiamo innovare… una cantilena che spesso ho sentito anche all’interno della mura delle imprese.

Forse dovremo aumentare la formazione e le competenze di tutta la nostra classe dirigente, sia quella politica che quella imprenditoriale ?  Che sia giunto  anche per la classe imprenditoriale, come per quella politica,  il momento di un ricambio ?

Allora la domanda è: come mai nonostante la crisi qualcuno riesce ad intraprendere percorsi di crescita interessanti?  La guida è migliore? Le singole persone sono migliori? Chissà!  

Dal mio piccolo osservatorio,  ho notato che le  imprese che  navigano con sicurezza sono quelle che sono riuscite nei momenti di difficoltà a far convergere le forze disponibili,

  • che riescono a fare leva sui valori che uniscono piuttosto che su quelli che dividono;

  • che individuano regole di comportamento comuni;

  • che battono il tempo perché tutta l’orchestra trovi sostegno nell’esecuzione della melodia.

Solo attraverso una volontà e determinazione  condivisa è possibile navigare con consapevolezza in mare aperto.

La fisica talvolta aiuta la riflessione. 

Ogni uomo, gruppo, comunità dispone di una determinata “quantità di energia”. La stessa quantità di forza può disperdersi oppure spostare pesi non immaginabili. Dipende dal punto in cui metti il fulcro. Spesso abbiamo forza sufficiente  ma la disperdiamo.

La nostra era è quella dello spreco. Se potessimo, in ogni condizione della vita dell’uomo far convergere le energie profuse, vivremo probabilmente in un mondo felice e senza carestie. In questa sede non intendo avviare una riflessioni sul destino del mondo,  ma semplicemente raccontare come i problemi che ostacolano il futuro delle imprese dipendano, spesso, da una mancata convergenza di forze.

Cosa fare per realizzare questa convergenza ?

  1. Condividere i valori

  2. Definire una strategia

  3. Coniugare la strategia in obiettivi visibili

  4. Acquisire la consapevolezza di ruolo. Non è possibile stare al timone se non si sa leggere la bussola

  5. Organizzazione. Disporre le forze nei punti cardine

5.1 – Staccare gli ormeggi e navigare

Per agevolare la riflessione provo a declinare queste esortazioni raccontando alcune storie.

1. Condividere i valori

Foto di Alexandr Ivanov da Pixabay

Vi racconto la storia di due soci che chiameremo  Fabio e Luigi.

Fabio ha una competenza sales/marketing, Luigi una competenza tecnica.

Un buon mix per far crescere l’impresa di cui sono soci.  Nonostante questo  la loro azienda  non decolla:  è stabile, è affidabile ma non cresce.  Perchè ?  Fabio e Luigi non condividono il modello di impresa. Fabio ha una visione orizzontale dell’organizzazione, Luigi una visione verticale. Fabio crede che la crescita debba avvenire per condivisione, Luigi pensa il contrario.

Fabio e Luigi sono due professionisti di provata esperienza. Ognuno ha percorso, fino al momento del loro incontro, strade segnate da successi e pubblici riconoscimenti. Ma questo non è sufficiente. Hanno una visione diversa su come si sviluppa un’impresa, su  cosa sia ” bene per l’uomo in società” ; le loro “weltanschauung”  sono diverse.

Sia Fabio  che Luigi hanno le risorse per costruire un’impresa di successo, ma non  insieme. La loro distante visione ha creato un”impresa dall’identità schizofrenica ed ha generato la creazione di fazioni e  conseguenti contasti  tra le persone  all’interno dell’organizzazione. Contrasti  nascosti,  non degenerati in  conflitti,  ma che non consentono l’emersione della passione condivisa, quell’onda vitale che spinge tutte le imprese di successo.

“Se i membri di una comunità o di un’impresa hanno visioni del mondo diverse mancano le fondamenta per la costruzione di opere che superano il tempo breve. Alla prima  lieve scossa è elevato il rischio di crollo”.

2. Definire una strategia

Foto di FelixMittermeier da Pixabay

Questo capitolo  lo racconterò attraverso la  storia dell’impresa di Paolo. Strategia !?!  Bah , LA SOLITA BANALE ESORTAZIONE… i soliti discorsi che ci hanno stancato. Ogni testo che da consigli non fa a meno di indicare la buona pratica di definire una strategia.

“Una strategia è la descrizione di un piano d’azione di lungo termine, usato per impostare e successivamente coordinare le azioni tese a raggiungere uno scopo predeterminato. La strategia si applica a tutti i campi in cui, per raggiungere l’obiettivo, sono necessarie una serie di operazioni separate, la cui scelta non è unica e/o il cui esito è incerto. La parola strategia deriva dal termine greco στρατηγός (strateghós), ossia “generale”. (fonte Wikipedia)

Paolo,  pressato dal mercato in cambiamento, sente la necessità di rivedere il modello di business della propria impresa. Ha  un obiettivo semplice: continuare a vendere e guadagnare come ha sempre fatto. La crisi incombe per tutti; la sua azienda non cresce come nel passato, ma tiene. Mette a punto una serie di tattiche:

  • affianca al prodotto “core business”, altri prodotti collaterali,

  • si inventa una serie di campagne promozionali,

  • aumenta la forza commerciale ;

Nonostante questo i risultati attesi non arrivano.  La crisi di mercato aggredisce tutte le imprese e Paolo con il suo  team di direzione dell’impresa ratifica questa condizione: “è colpa della crisi”. L’azienda di Paolo aveva un obiettivo: vendere di più; per questo aveva attivato  una serie di azioni coerenti per inseguire il suo obiettivo. Aveva dato risposte, ma si era posto poche domande.  Nessuna  domanda su come ci si immaginasse  dovesse essere il futuro dei prodotti e dei servizi generati e distribuiti dall’impresa di Paolo. In altre parole nessuna riflessione strutturata sullo stato del prodotto e del mercato che fino ad ieri gli aveva assicurato tanti successi:

  • se fosse necessario incrementarne le funzionalità,

  • se il modo di fruizione da parte dei clienti fosse cambiato,

  • se il canale di distribuzione che fino a ieri aveva funzionato richiedesse una revisione,

“Se il team di direzione non ha la consapevolezza condivisa della tenuta della strategia rispetto ai cambiamenti, le azioni perdono passione e forza.

Occorre mettersi in discussione per ri-creare il desiderio di nuovi orizzonti strategici e ri-focalizzare  tutte le energie disponibili sul fulcro della leva”.

 3. Coniugare la strategia in obiettivi visibili

Foto di Lena Lindell da Pixabay

L’atto del coniugare la strategia nelle tattiche di realizzazione mi riporta alla mente qualche nozione di grammatica liceale circa il corretto uso dei verbi infiniti a di quelli finiti.

Nella coniugazione di un verbo dovremo usare un modo finito o  infinito in dipendenza del contesto narrativo. Tuttavia capita di usare indistintamente modi finiti e infiniti senza farci troppo caso. Vedremo come questa tendenza non sia un semplice errore da segnare con la penna rossa, ma possa indurre una mancata focalizzazione del gruppo dirigente verso la realizzazione degli obiettivi aziendali.

I modi infiniti sono forme verbali a morfologia ridotta; non definiscono CHI ( la persona), QUANTO (singolare o plurale)  e nemmeno QUANDO (il tempo).  Indicano “semplicemente”  un’azione  con una voce univoca, indeterminata, che può far riferimento a qualsiasi persona, a qualsiasi numero (singolare o plurale) e a qualsiasi tempo.  Per questo sono adatti alla riflessione sulla strategia che deve essere esercitata, senza i condizionamenti di persone e tempo.

 Ipotizzando di aver correttamente operato con i “giusti modi” per la corretta definizione della strategia  vediamo quali conseguenze potrebbe avere, nella fase successiva, rimanere affezionati all’uso dei modi infiniti. Citerò il caso di Carlo.

La sua impresa ha deciso che nei prossimi anni dovrà investire sulla strategia di canale. La rete dei partner deve essere potenziata e trasformata, in conseguenza della trasformazione della domanda che arriva dai clienti e della conseguente innovazione dei prodotti/servizi.

Sono stati definiti i verbi all’infinito:  l’impresa  ha deciso di investire sulla crescita del canale, ma non è chiaro ancora il tempo, presente, futuro, non sono chiari i vincoli… condizionale !!

E’  oscuro anche il complemento: che tipo di partner stiamo cercando? Ma questo è un altro capitolo della grammatica !!  Era bastata la dichiarazione di un verbo all’infinito: “potenziare la strategia di canale…” per “scatenare l’inferno” delle azioni dei dirigenti e quadri dell’azienda di Carlo.

Le PMI sono abituate a procedere d’imbracciatura e spesso fanno leva sulle capacità d’intuizione dell’imprenditore.  Quando la complessità aumenta e  le forze necessarie per “creare e gestire” vanno oltre la capacità  (ancorché straordinaria) del singolo imprenditore il meccanismo si inceppa. Il continuo movimento centro-periferia collassa per la grande mole di informazioni/decisioni di cui il centro (il capo)  deve farsi carico.

Il mio zio, cacciatore,  ormai anziano, lamenta sempre questo suo vizio: colpire d’imbracciatura dove l’intuito è preminente sulla concentrazione  non va bene per tutte le stagioni e per tutti i tipi di caccia. Va bene quando sei giovane, rapido e per la caccia in solitudine.

INOLTRE.

Carlo non si era accorto di un pericoloso processo di “diaspora della passione” .

Il volenteroso team management non aveva fatto mancare il proprio impegno anche grazie alla capacità di Carlo di creare e tenere in vita buone relazioni.  Tuttavia ogni dirigente di fronte alla complessità del contesto (interno ed esterno) ed alla in-definizione e accordo su obbiettivi  concreti aveva cercato  i propri  “spazi privati di semplificazione”  per conseguire in tempi brevi  risultati economicamente visibili . A Carlo tutto sommato questo processo piaceva: riduceva la complessità e prometteva vantaggi visibili.

Per questo acconsentiva con favore alle proposte  che via via arrivavano dai vari dirigenti di creazione di varie Business Unit che sono diventate, nel corso degli anni, dei silos di conoscenza. Nel giro di qualche anno alla diaspora delle passioni si aggiunse quella delle intelligenze con un conseguente impoverimento della cultura d’impresa .

“L’assenza di una corretta coniugazione della strategia fa disperdere la forza della passione e dell’intelligenza in rigagnoli cognitivi che non contribuiscono allo sviluppo dell’impresa”.

 4.Acquisire la consapevolezza di ruolo.

Foto di schaeffler da Pixabay

In questo paragrafo vi racconterò la storia di  Mario che invece, con la sua solida cultura imprenditoriale, aveva superato con successo i punti precedenti.

Mario è il socio di maggioranza di un’impresa commerciale che rivende e assiste  materiale tecnico.

 Il 70% del fatturato è costituito da prodotti di una società produttrice leader mondiale nel suo settore. Accade spesso che le multinazionali, appena un’area  geografica abbassa i  numeri rispetto al budget commerciale,  apportino immediate trasformazioni sull’organizzazione del canale di distribuzione.

In Italia il fatturato era sviluppato da  tre rivenditori;  l’azienda di Mario contribuiva per circa il 75%. La flessione delle vendite aveva indotto il produttore a crearne altri 4.

Mario aveva intuito con anticipo questa tendenza, comune peraltro a molti produttori internazionali.

Aveva investito in conoscenza, creato una nuova divisione ricerca e sviluppo  e  lentamente l’impresa aveva cambiato  natura. L’azienda si stava trasformando da “venditore” a  “integratore”. Questo lo portava ad essere più vicino alle esigenze del cliente, a non focalizzare l’attività solo sulla vendita di ciò che semplicemente è  presente in magazzino.

Questa nuova natura richiedeva:

  • una nuova identità

  • un nuovo brand

  • una politica di canale (fino a quel momento assente)

  • e ..forse l’avvio di una prospettiva internazionale.

In altre parole al gruppo dirigente e alla proprietà era richiesta un profonda riflessione:

  • sulla consapevolezza dei ruoli che si sarebbero dovuti assumere

  • sul relativo bilancio delle competenze

La nuova azienda aveva necessità di:

  • confezionare un prodotto/servizio coerente ai bisogni del cliente

  • essere identificata come il partner in grado di interpretare questi bisogni

  • diminuire lo sforzo per andare a cercare i clienti ed aumentare quello per farsi cercare

In altre parole nel passaggio da un orientamento alle vendite ad un’orientamento al marketing/cliente era necessario acquisire una nuova consapevolezza dei ruoli e delle nuove capacità- competenze da acquisire.

Nelle fasi esecutive, la consapevolezza dei ruoli e delle competenze che dovranno essere acquisite da forza agli uomini dell’impresa per superare i passaggi, talvolta stretti, della trasformazione.

“Leggere la bussola è un atto tecnico; basta che qualcuno te lo insegni”.

Mario sta attraversando con successo le fasi del “secondo ciclo esistenziale” dalla data di nascita avvenuta 25 anni prima e sta preparando l’impresa al passaggio generazionale.

5. Organizzazione. Disporre le forze nei punti cardine

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Mario, nel suo percorso di trasformazione ha trovato altri ostacoli.

La trasformazione non solo aveva richiesto a lui e a tutti i dirigenti di sviluppare la consapevolezza dei ruoli ma richiedeva un nuovo posizionamento degli stessi all’interno dell’organizzazione.

Nella “vita precedente” dell’impresa di Mario, orientata  fortemente alle vendite,  era presente un  Ufficio tecnico con il ruolo esclusivo di gestione del delivery e del post vendita. Il ruolo era occupato da molti anni e con successo da Francesco, un uomo d’ordine. Una garanzia per tutti i commerciali.

Nella “nuova vita”  l’ufficio tecnico doveva assumere una nuova configurazione: svolgere  un’azione cuscinetto tra il marketing,  le vendite, la ricerca e sviluppo e  la struttura tecnica di delivery. Una specie di crocevia di competenze che richiedeva  una spiccata creatività, fondamentale per ispirare tutti i ruoli che in qualche modo afferivano a quell’ufficio.

Francesco, nonostante fosse  il primo candidato ad esercitare il nuovo ruolo,  accoglie con preoccupazione il nuovo impegno; non certo per una ritrosia ad accettare le sfide del cambiamento. Tuttavia Francesco ha “geni”, qualità, attitudini per esercitare ruoli tecnici.

Mario ha compreso le difficoltà di Francesco ed  ha sviluppato ed ampliato le conoscenze tecniche ed organizzative di Francesco e gli ha attribuito un nuovo ruolo: la responsabilità di tutto il Service.  La responsabilità dell’ufficio tecnico è oggi stata assegnata a Tommaso, un nuovo ingresso,  che aveva precedentemente operato in un ruolo di responsabile di marketing di prodotto. Tommaso ha portato le seguenti nuove competenze:

  • Competenza di processo per ipotizzare miglioramenti di efficacia per il business del cliente;

  • Immaginazione per rappresentare al cliente nuove possibili configurazioni;

  • Sufficiente competenza tecnica per costruire le prime bozze sui nuovi prodotti;

  • Creatività. per rappresentare nuovo scenari di mercato.

“Ogni risorsa per esprimere il massimo deve essere posizionata nei ruoli coerenti con le attitudini. Appoggiare le forze su un fulcro debole annulla la spinta di tutti coloro che spingono sulla leva“.

 5+1. Staccare gli ormeggi e navigare

Foto di Mabel Amber da Pixabay

Quanto abbiamo fin qui raccontato è essenziale  ma nulla prende vita in assenza di coraggio.

“Ogni navigazione  prende sostanza quando capitano e marinai prendono il coraggio di staccare gli ormeggi e navigare”.

La spinta derivante dalla passione di sentirsi insieme, di remare coordinati nella stessa direzione, l’emozione dello spazio che corre, infonde la fiducia sul raggiungimento della meta.

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Silenzio delle idee lunghe

tanti piccoli flebili suoni cantano un brusio di fondo accompagna costantemente  le ore della nostra giornata scrivo sul mio iPhone direttamente nella

Per fare tutto ci vuole un fiore

Per fare un tavolo ci vuole il legno, Per fare il legno ci vuole l’albero, Per fare l’albero ci vuole il seme,

0 risposte

  1. La mia esperienza nell’impresa è limitata e arrugginita, ma vorrei contribuire a questo dibattito con poche riflessioni. Lo faccio da un osservatorio strano, l’università e il mondo della ricerca scientifica, che mi sembra, con le dovute differenze, soffrano di qualche sintomo simile. E premetto che forse andrò un po’ fuori tema.
    Innanzitutto: competenza. Alessandro tempo fa mi diceva: esprimi qualità non richiesta. E’ vero aveva, ed ha proprio ragione. Qualità nella competenza non è richiesta.
    Competenza e qualità nella competenza significa #faiiltuo: agire in base alla propria competenza e migliorare, sempre, la propria competenza.Chi definisce la competenza? Chi valuta la competenza? E poi abbiamo competenza per saperla valutare?
    Vedo molti cv ad esempio su LinkedIn e mi chiedo cosa ci sia dietro quei titoli roboanti, quali capacità, quali competenze, quale verità.
    Un esempio: i social media applicati all’emergenza hanno fatto proliferare esperti che hanno apposto l’etichetta di “social media emergency manager” ai loro cv online e ai loro titoli professionali. Ma che strano, prima il web per l’emergenza era un affaire considerato residuale. Cosa è successo? Lo dice bene Goodchild (il primo che scrisse dei citizens as sensors ante litteram): in alcuni casi si tratta di banale promozione individuale. Alla quale aggiungo, promozione individuale mediata dalla tecnica che fa scomparire il contenuto e definisce il senso solo attraverso la tecnica. Il contenitore prevale sul contenuto, la tecnologia ha perso il senso dell’agire e diventa essa stessa finalità del nostro agire.
    E così nell’impresa, l’innovazione è diventata un’etichetta vuota perché non è agita, ma solo enunciata.
    Quindi torniamo alla competenza. Competenza d’impresa, competenza nel fare impresa, competenze nell’impresa. E come dice Alessandro, raccontando del coraggioso Mario, con creatività, il che significa pensare in modo diverso, aprirsi all’innovazione, che è prima di tutto culturale. E perché no, aprirsi a competenze diverse per cercare nuove strade, guardare oltre e osservare. Penso che nelle imprese manchi ricerca e la capacità di beneficiare della ricerca fatta in altri contesti.

    Oggi viviamo una crisi profonda, pensiamo a quanto sta accadendo negli Stati Uniti. Il capitalismo finanziario sta svelando il suo volto perverso, noto da tempo, e non sappiamo cosa succederà, anche perché non si trovano nuovi modi per rispondere a questo rischio di default mondiale e dilagante.
    Che fare? Purtroppo abbiamo prodotto una macchina infernale, un mostro che non lascia molti spazi. Penso ad esempio all’amministrazione pubblica che invece di ricorrere alle migliori teste per funzionare bene e per il bene comune, è da troppo tempo appiattita su mediocrità e consorterie per il bene di pochi. Ma questo non stupisce se si guardano i dati OCSE http://goo.gl/nHZpij relativi all’Italia: siamo un popolo ignorante.

    Siamo arrivati quindi a uno snodo epocale. Teniamo saldi i nostri principi, le nostre competenze, la nostra capacità di discernere tra il vero e il falso.
    Alessandro ha ragione, uniamo le forze e soprattutto le teste (quelle buone), per ripensare e individuare percorsi, ma fuori dalle mistificazioni o dalla demagogia. Cerchiamo la verità e non facciamoci incantare dal canto delle sirene di falsi economisti, cyber-utopisti, falsi politici. Smascheriamoli agendo con competenza e con rigore. #svegliamoci

    1. Ciao Elena,
      grazie per il tuo commento.
      La difficoltà nel dare spazio alle capacità-competenze purtroppo non è solo un problema dei nostri tempi.
      La rete è un’opportunità.
      Tuttavia si sceglie spesso la via facile della battuta per trattare temi che richiederebbero ben altro livello di approfondimento; corriamo il rischio di annegare la ricerca nella brevità dei 140 caratteri.
      Ma come dici te: “la ricerca nell’immediato non è utile..”
      Grazie

  2. Proverò a dare un mio contributo anche se non sarà interessante come quelli riportati in calce.
    L’obiettivo del blog è quello di condividere esperienze al fine di trovare delle possibili soluzioni alla crisi che imperversa. L’idea a mio avviso è buona però deve essere orientata alla propria realtà altrimenti si rischia uno scollamento con la realtà e soprattutto di non riuscire a tradurre le idee in qualcosa di più concreto ed efficace.
    Per seguire i contributi presenti e rispondere alle domande poste a mio avviso dovremmo riflettere su come si posiziona la mia azienda e come si relaziona con il mondo che la circonda al fine di comprenderne il futuro.
    Proviamo a guardare la storia di Filippo (nome ovviamente inventato), un imprenditore di successo con prodotti ormai consolidati sul mercato che hanno superato la fase di innovazione e crescita.
    Il nostro personaggio si trova a fronteggiare la crisi come tutti in questo periodo e si domanda perché i propri prodotti non vanno più come una volta, cerca di capire quali sono le modifiche da apportare per renderli più appetibili e rilanciarli sul mercato.
    Investe in R&S assumendo specialisti di prodotto e cercando di capire quali migliorie apportare sempre in relazione al prodotto convinto che la soluzione è da trovare sempre all’interno dell’impresa e relativamente all’offerta che fino a ieri costituiva la colonna portante dell’azienda.
    Il gioco riesce con alcuni clienti interessati a rinnovare il prodotto pertanto l’azienda vive sul proprio parco clienti ma fatica ad farne di nuovi.
    Questo approccio porta l’azienda a vivacchiare e sopravvivere ma non si riesce a incrementare il proprio business. Filippo cerca delle nuove idee dove diversificare le proprie attività e il proprio mercato facendo ulteriori investimenti e assumendo nuove risorse specializzate nei nuovi filoni di business non propriamente core dell’azienda..
    Morale: il muoversi ostinatamente lungo direttrici ormai consolidate da sicurezza e padronanza dei propri mezzi ma non promuove diversificazioni evidenti e nonostante gli sforzi dopo alcuni anni finiscono le risorse economiche senza avere avuto una adeguata copertura dal business per cui l’azienda rischia di fallire per mancanza di liquidità e non di idee.
    Cosa è mancato in questa storia?
    A mio avviso è mancata una reale comunicazione sia interna che esterna per capire realmente i bisogni e soddisfare le esigenze degli stakeholder..
    Oggi le strutture di MKTG si basano sui classici modelli di valutazione dei punti di forza e delle criticità interne ed esterne (Swot analysis). Oppure su indagini di mercato per individuare il miglior competitor (benchmarking) e capirne le strategie al fine di migliorare la propria offerta.
    Queste tecniche sono sicuramente ancora valide, però oggi, a mio avviso devono essere integrate con indagini più capillari che arrivano direttamente agli attori che influenzano direttamente le scelte del mercato i cosi detti stakeholder.
    L’obiettivo è aggiungere uno strumento di dialogo e di comunicazione che permetta all’azienda di migliorare il rapporto con i propri stakeholder che non sono solo i clienti tradizionali.
    Ogni organizzazione, per raggiungere gli obiettivi definiti e perseguiti, sviluppa, anche inconsapevolmente, sistemi di relazione con persone, gruppi e altre organizzazioni i cui comportamenti o atteggiamenti, le cui opinioni o decisioni, possono ritardarne o accelerarne il raggiungimento.
    Questi interlocutori si possono classificare in due grandi categorie:
    • °influenti: l’organizzazione riconosce loro un potere di influenza;
    • °stakeholder (da..to hold a stake..avere titolo a…): soggetti consapevoli di avere un ‘diritto’ a interloquire con l’organizzazione anche per influire sul raggiungimento dei suoi obiettivi.
    Pur con una forte sovrapposizione fra le due (l’influente è sovente anche stakeholder e quasi sempre quest’ultimo viene ritenuto influente dall’organizzazione), la distinzione è rilevante poiché implica per l’organizzazione adottare modelli relazionali diversi. Infatti è diverso dialogare con chi sia consapevole di avere diritto ad interloquire e interessato a farlo, rispetto a chi sia soltanto ritenuto influente dall’organizzazione senza esserne necessariamente consapevole e neppure interessato a dialogare con questa.
    Nel primo caso la relazione viene direttamene orientata ad accelerare il raggiungimento dell’obiettivo; nel secondo caso è innanzitutto necessaria una relazione capace di attirare l’attenzione dell’influente e, solo successivamente, che si proponga di accelerare il raggiungimento dell’obiettivo perseguito.
    Fra gli stakeholder ‘classici’:
    • dipendenti, i dirigenti, gli azionisti, i grandi clienti, i fornitori, gli analisti finanziari di riferimento, gli investitori istituzionali, le istituzioni pubbliche di riferimento, i sindacati, i concorrenti, le associazioni di rappresentanza di riferimento, le associazioni di interesse di riferimento, i giornalisti più direttamente interessati.
    Fra gli influenti, normalmente non stakeholder, sono invece:
    • giornalisti non direttamente interessati, i leader di opinione, i leader di organizzazioni con le quali l’organizzazione vorrebbe interagire in merito a suoi progetti non ancora pubblici.
    Qualche esempio:
    • per una azienda di abbigliamento è stakeholder la redattrice di moda di un settimanale, non il giornalista finanziario; ma se l’azienda ha in animo di quotarsi in borsa, quest’ultimo è molto influente, ma non (ancora) consapevole.
    • una associazione ambientalista è consapevole di essere stakeholder verso una azienda inquinante, ma non è detto che l’azienda la legittimi fra i propri soggetti influenti.
    Sono evidenti le diversità di investimento necessarie (sia strumentali che temporali) per l’uno e per l’altro obiettivo: nel caso degli stakeholder si tratta di costituire un ambient di dialogo (come il blog, intranet, extranet ecc.) per favorire un dialogo diretto ed interattivo, mentre per gli influenti sarà necessario prima attirarli e di conseguenza convincerli a diventare essi stessi stakeholder.
    A questo punto l’azienda potrà cercare una propria strategia centrata sulle aspettative dell’utente. Pertanto l’organizzazione dovrebbe proporsi di ascoltare le aspettative dei suoi stakeholder prima di definire i propri obiettivi, così da tenerne conto, riducendo al minimo necessario le aree di conflitto potenziale; mentre la relazione con gli influenti sarà soprattutto orientata ad attirarne l’interesse, l’attenzione e, in un secondo momento, a coinvolgerli a supporto dei propri obiettivi e, infine, ad ottenerne una migrazione volontaria verso la categoria degli stakeholder.

    Ad ogni settore aziendale verrà affidata la gestione delle dinamiche dei sistemi di relazioni con i rispettivi stakeholder di riferimento diretto, magari impostando degli indicatori affidabili (KPI e KAI), per il monitoraggio ed il raggiungimento degli obiettivi.
    Questo spostamento nei giochi di forza rappresenta una sfida che non tutte le aziende sono pronte a raccogliere: molte lo ignorano, altre lo studiano, poche lo sperimentano, però si parla continuamente di “social CRM” e di visione centrata sul cliente per un miglioramento continuo in azienda (sistema qualità – PDCA), ma al lato pratico difficilmente ci si orienta in modo efficace in tal senso.
    Trattando i clienti in modo differenziato, a prescindere se questo differenziato dipenda dal loro Valore economico o da parametri di natura qualitativa sarà possibile creare nuove idee e valore aggiunto per l’impresa.
    Sperando che il mio contributo possa essere gradito anche se non vuole essere risolutivo spero possa avere contribuito a trovare un metodo o perlomeno una linea di comportamento per raggiungere alcuni importanti obiettivi:
    • motivazione e soddisfazione degli stakeholder (non solo i clienti)
    • coinvolgerli al fine di trovare soluzioni perseguibili per affrontare e risolvere in modo efficace il periodo di crisi.
    • Instaurare un metodo ripetitivo che contribuisca a migliorare continuamente la risposta dell’impresa operante in un mercato che sempre più freneticamente e in modo continuato risulta in evoluzione.
    Ringraziando per l’attenzione con l’occasione porgo a tutti un cordiale saluto.

    1. Buon Anno!
      oggi h scoperto che molti importanti Manager che hanno conseguito interessanti successi nel campo imprenditoriale (p.es. Marchionne) sono Laureati in Filosofia e non In Economia.
      Forse una delle soluzioni efficaci alla crisi attuale dell’imprenditoria e quella di reagire alla crisi economica non solo guardando al profitto e al conto economico ma mirando anche al benessere sociale ed al coinvolgimento culturale delle risorse in modo da rendere appasionante il lavoro che stai facendo. Non è un mistero che secondo indicazioni Istat 7 persone su 10 oggi hanno paura di perdere il proprio lavoro e questo penso si ripercuota negativamente su ciò che stai facendo (il famoso cane che si morde la coda!).
      Non sarà questo il principale problema che ostacola il futuro ma sicuramente contribuisce…..
      Saluti
      Mauro

    2. Carissimo Mauro, grazie per il tuo esaustivo contributo e scusa per il troppo tempo trascorso che ho fatto passare per un commento al tuo post.

      Il tema che tu poni è al centro della trasformazione delle strategia di dialogo delle imprese con i propri mercati..ops che dico.. i propri sistemi di conversazione.

      Era il lontano 1999 quando Rick Levine (fondatore di un fabbrica di cioccolato ex Geek),
      Christopher Locke (un mistico new age appassionato blogger) Doc Searls (un giornalista editore di Linux Journal, e capo del Progetto VRM alla Harvard’s Unversity) e
      David Weinberger (un filosofo interessato ai cambiamenti che la rete ha apportato alle relazioni sociali) scrivono il Cluetrain Manifesto.

      Come vedi un gruppo di “pazzi” con prospettive diverse di osservazione dei fenomeni.

      Un testo visionario che invita le imprese ad aprire le porte delle proprie imprese alla conversazione con i propri ecosistemi di relazione.
      Se non saranno le imprese a farlo saranno le “folle” ad abbattere quelle mura e segnare il successo e l’insuccesso delle imprese.

      Il tempo non era maturo, sono passati 15 anni e nel frattempo abbiamo assistito alla rivoluzione dei social media fornendo accelerazione ad un processo non più rimandabile.

      Ma ecco che si pone un problema: per attivare “conversazioni” le imprese dispongono di cultura ed organizzazione orientata al dialogo ?
      Questa è la sfida delle organizzazioni al tempo del digitale.

      Mauro, mi ha dato lo spunto per un altro post!
      Grazie

  3. Tra le 95 tesi del Cluetrain Manifesto la 52 recita pressapoco così
    “La paranoia uccide la conversazione. Questo è il punto. Ma la mancanza di conversazione uccide le aziende”.

    Io aggiungerei che la conversazione crea le idee che oggi sono carenti così come le disponibilità finanziarie per realizzarle.
    Una buona idea potrebbe essere sfruttata tenendo conto anche degli aspetti tecnici per realizzarla.
    Ma se non si hanno buone idee sono inutili anche i tecnicismi per concretizzarle.

    Grazie e Saluti

    Mauro

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